La Woodstock dei fanatici dello skate

19-08-2009
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NEW YORK Oggi le rampe degli spericolati sono parte dell’arredo urbano, dal Chelsea Pier sull’Hudson e 23esima a sotto le volte dei ponti tra Manhattan e Brooklyn. C’è addirittura un parco pubblico, lo Skate Park, sulla Riverside nell’Upper West Side, il primo dedicato allo skate. E lo si deve ad Andy Kessler, che la comunità degli skaters ha celebrato sabato con raduni e esibizioni in città, prima del funerale di domenica nel New Jersey. Kessler era morto la settimana prima per una reazione allergica ad una puntura di vespa.

La tavola da strada, nata nella California dei surfisti, ha fatto milioni di proseliti nel mondo, e prima che altrove a New York. Sabato scorso generazioni di seguaci si sono raccolte per onorare la memoria del «re», o del «padrino», come lo chiamavano gli amici. Quarantotto anni, Kessler è stato uno dei pionieri dello skating mondiale, tra i primi a cogliere il suo fascino «west coast» e a tradurlo nel tessuto newyorkese. Erano gli anni ‘70 e la megalopoli in bancarotta offriva quartieri in degrado, fabbriche in disuso e parchi maltenuti. Nato ad Atene, orfano adottato da una famiglia americana, Kessler inizia lì il suo viaggio, da subito in drammatico equilibrio tra droghe, alcool ed evoluzioni virtuose.

Sempre al limite, sempre alla ricerca di nuovi gradini di difficoltà. Ma il primo ostacolo vero, il più duro, lo supera da leader. Attorno ai 25 anni, sa smetterla con il bere e con la «roba» e si concentra sullo skating. Non solo continua a praticarlo, alternandolo al surfing nel mare di Long Island, ma lo istituzionalizza. Tratta con l’assessorato ai parchi cittadini e convince l’establishment a creare un ritrovo ufficiale per skaters all’interno di un parco, sulla 108esima e Riverside Drive. Disegna lui stesso i percorsi, le rampe. Costruisce il suo mito cicatrice su cicatrice. Tra gli appassionati è un’icona, e sabato notte in centinaia si sono radunati a Brooklyn, sullo spiazzo di fronte all’East River, a Greenpoint, per un tributo nella Autumn Bowl, la scodella d’autunno, all’interno di una vecchia fabbrica di mattoni. C’era anche chi lo conosceva di persona: «Ha alzato la bandiera più in alto e più decisamente di chiunque», ha detto al New York Times Tony Alva, l’epitome dello skating sull’altra costa, arrivato da Santa Monica (California): «Incarnava lo spirito di New York, e oggi è qui che fa skating con me».

Con la colonna sonora delle canzoni degli Who e dei Beastie Boys, dozzine di skaters si sono incrociate sulle pareti del ciotolone da 230 metri quadrati d’area, profondo oltre due: un’esibizione-tributo per le conquiste di Andy: il suo «andare verticale», rivoluzionario trenta anni fa ed oggi pratica normale, ma anche il suo impegno nel promuovere luoghi per la tavola. Lui che era cresciuto trovando le piste nei luoghi estremi, come la «Death Bowl», una piscina abbandonata nel Bronx, o la «Suicide Hill», una ripida discesa sull’Hudson.

Skating e graffiti andavano di pari passo negli anni pre-Rudy Giuliani, e infatti Andy divenne un membro dei cosiddetti «Artisti dell’Anima di Zoo Park»; anzi, ne «era il presidente», ha ricordato Zephir, uno del gruppo. Nel 2005, quando ebbe il suo più grave incidente, i soldi per ricostruirgli ginocchia e gomiti furono raccolti da amici ed estimatori perché non aveva l’assicurazione sanitaria. Oltre alla conversione ad «architetto» delle piste nei parchi, che divenne il suo lavoro in America e all’estero, Kessler seppe trasformare la sua diretta esperienza di drogato in esempio da non seguire: e tanti amici lo ricordano. «Ha salvato la mia vita», ha detto Harry Jumonty, 41 anni, di NY, raccontando che Kessler l’aveva portato a Montauk la settimana scorsa per tenerlo lontano dalle droghe. Lì, estrema punta di Long Island, Kessler andava a fare surf e portava gli amici a rischio. «Magari avessi potuto salvare la sua vita», lo piange ora Jumonty. Ma la vespa maledetta di Montauk aveva già deciso il suo destino.

Articolo tratto da: http://www.lastampa.it
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